Uno
spettro si aggira per Riva del Garda: lo spettro dell'Innovazione.
Resoconto
di una grande speranza.
Workshop
sull'innovazione sociale di Iris Network
Andrea
Satta, Coordinatore Rete d’Impresa
L'innovazione
aleggia come un fantasma fra le sale di Riva del Garda. Tutti ne
parlano, tutti la cercano, tutti vorrebbero vederla seduta al loro
tavolo.
In
questi ultimi mesi l'innovazione è diventata la parola d'ordine,
tutto è diventato SMART, ICT, VENTURE CAPITAL, STARTUP, CLOUD,
AAL... Una sbornia che sarà difficile da smaltire e che ci lascerà
un gran mal di testa.
Il
decimo Workshop di IRIS Network ha deciso di puntare tutto
sull'innovazione, al limite di tempo massimo per la preiscrizione al
nuovo torneo o tornata di fondi Europei e nazionali.
Senza
innovazione non si innova, verrebbe da dire tautologicamente, ma cosa
questo significhi per il sociale è assai difficile a dirsi:
diventare tecnologici o diventare altro.
Stefano
Borzaga nel suo intervento ha detto una cosa lapalissiana a cui
probabilmente tutti noi, che con il welfare abbiamo a che fare,
dobbiamo adeguarci: il mercato e il capitalismo non sono la stessa
cosa.
La
Cooperazione Sociale in Italia si immedesima con l'impresa sociale
creando fin dall'inizio quel grande fraintendimento in cui impresa
appare quasi una parola da lasciare in secondo piano, perché ha
a che fare prima con capitale che con mercato. Ed è
qui che si vuol far passare il cammello nella cruna (anche se si
trattava di una gomena): fare impresa in un altro mercato, in
un'altra società. É tutto nascosto nel suffisso altro
(AltroMercato, Altraeconomia) come a volersi distinguere dai cattivi,
quelli dell'Economia, della Finanza, del Capitale.
Il
rapporto di IRIS Network, e soprattutto il clima del convegno, hanno
però evidenziato che le condizioni non sono più tali per creare
altro, per distinguere fra buoni e cattivi. Bisogna entrare nel
mercato (quello unico Europeo prima di tutto) portando quel IVA
sociale in cui la I sta per Innovazione.
Torniamo
dunque alla parola magica. Luca Fazi, sempre acuto e previdente, ci
ricorda che esistono almeno quattro tipi di innovazioni:
incrementale, espansiva, evolutiva e totale.
Tutti
noi abbiamo sbirciato le slide che accompagnavano l'intervento finale
e abbiamo sogghignato pensando ai concorrenti espansivi, e lo stesso
hanno fatto di noi i concorrenti. Insomma tutti avremmo voluto poter
dire che siamo innovativi totali: L'innovazione totale
[...] implica la sperimentazione di nuovi modi di lavorare e
organizzare i servizi fornendo risposte a bisogni prima non
considerati.”
Come
non sentirsi coinvolti e adatti a tale approccio, come non pensare ad
un altro modo di essere attori sociali, pro-attivi, propositivi,
innovativi. In una parola SMART. Gli acronimi si sprecano e SMART è
divenuta la parola senza la quale non si può fare nulla. È
l'integrazione dei primi anni 2000 ed il glocal della
fine dei '90.
Per
essere smart non basta avere la tecnologia, bisogna che
qualcosa o qualcuno sostenga l'utilizzo degli strumenti ICT,
bisogna che affianco al tablet collegato in clouding ci
sia una noiosissima e utilissima capacità di ripensare alle proprie
aziende, al proprio sistema di governance, alla propria
mission. Insomma ad un numero notevole (eccessivo) di termini
inglesi.
Il
mercato, dalla ventosa Riva del Garda, appare un grande fratello che
tutto controlla e tutto governa, un sistema da scardinare a favore di
un mondo migliore. Ma è veramente così? Non pecchiamo noi
(co)operatori di Ybris nel voler andare contro gli dei? Il
mercato non è un golem malvagio, non è un qualcosa altro da noi, ma
è il modo con cui effettuiamo i nostri scambi, le nostre relazioni
economiche. Se solo comprendessimo che un altro mercato è
sempre possibile, perché gli attori di questo mercato siamo noi. La
vera novità sarebbe accettarne le regole senza ipocrisie e cambiarle
da soggetti autorizzati a farlo, ovvero da importanti, fondamentali
soggetti economici.
Ho
l'impressione che la vera innovazione passi proprio per quell'IVA di
cui parlavo prima, da quella percentuale di Innovazione che mettiamo
nel nostro agire economico, da quella capacità di indirizzare le
scelte della società verso transazioni economiche (e relazionali,
ammesso che ci sia differenza) che definiamo etiche o, come
preferisco, responsabili.
Il
concetto di responsabilità deve andar prima di quello di eticità,
le scelte sono etiche se sono responsabili, se hanno la capacità di
far corrispondere la risposta al bisogno e di farlo senza che questo
crei un nuovo bisogno peggiore del primo.
L'innovazione
passa dunque attraverso la responsabilità, e non è un caso che
senza Corporate Social Responsability il sistema non regga, e la
responsabilità passa attraverso il cambiamento, l'autodeterminazione
e la consapevolezza. In tutto questo la tecnologia a cosa serve? Come
twitta Graziano Maino #mainograz pensa le tecnologie non
sono l'opposto del senso. Non c'è innovazione che non abbia
componenti tecnologiche. Vuol dire comprendere la necessità di
utilizzare gli strumenti tecnologici per attivare, sostenere,
introdurre processi di innovazione sociale. Ma l'idea, la formula,
l'alchimia che trasforma la cooperazione sociale in Impresa sociale
innovativa, non è nel mezzo che utilizziamo ma nel fine che vogliamo
raggiungere con la tecnologia.
Adesso
bisogna solo trovare il senso.
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