mercoledì 12 dicembre 2012

Uno spettro si aggira per Riva del Garda: lo spettro dell'Innovazione


Uno spettro si aggira per Riva del Garda: lo spettro dell'Innovazione.
Resoconto di una grande speranza.
Workshop sull'innovazione sociale di Iris Network
Andrea Satta, Coordinatore Rete d’Impresa

L'innovazione aleggia come un fantasma fra le sale di Riva del Garda. Tutti ne parlano, tutti la cercano, tutti vorrebbero vederla seduta al loro tavolo.

In questi ultimi mesi l'innovazione è diventata la parola d'ordine, tutto è diventato SMART, ICT, VENTURE CAPITAL, STARTUP, CLOUD, AAL... Una sbornia che sarà difficile da smaltire e che ci lascerà un gran mal di testa.
Il decimo Workshop di IRIS Network ha deciso di puntare tutto sull'innovazione, al limite di tempo massimo per la preiscrizione al nuovo torneo o tornata di fondi Europei e nazionali.
Senza innovazione non si innova, verrebbe da dire tautologicamente, ma cosa questo significhi per il sociale è assai difficile a dirsi: diventare tecnologici o diventare altro.
Stefano Borzaga nel suo intervento ha detto una cosa lapalissiana a cui probabilmente tutti noi, che con il welfare abbiamo a che fare, dobbiamo adeguarci: il mercato e il capitalismo non sono la stessa cosa.
La Cooperazione Sociale in Italia si immedesima con l'impresa sociale creando fin dall'inizio quel grande fraintendimento in cui impresa appare quasi una parola da lasciare in secondo piano, perché ha a che fare prima con capitale che con mercato. Ed è qui che si vuol far passare il cammello nella cruna (anche se si trattava di una gomena): fare impresa in un altro mercato, in un'altra società. É tutto nascosto nel suffisso altro (AltroMercato, Altraeconomia) come a volersi distinguere dai cattivi, quelli dell'Economia, della Finanza, del Capitale.
Il rapporto di IRIS Network, e soprattutto il clima del convegno, hanno però evidenziato che le condizioni non sono più tali per creare altro, per distinguere fra buoni e cattivi. Bisogna entrare nel mercato (quello unico Europeo prima di tutto) portando quel IVA sociale in cui la I sta per Innovazione.
Torniamo dunque alla parola magica. Luca Fazi, sempre acuto e previdente, ci ricorda che esistono almeno quattro tipi di innovazioni: incrementale, espansiva, evolutiva e totale.
Tutti noi abbiamo sbirciato le slide che accompagnavano l'intervento finale e abbiamo sogghignato pensando ai concorrenti espansivi, e lo stesso hanno fatto di noi i concorrenti. Insomma tutti avremmo voluto poter dire che siamo innovativi totali: L'innovazione totale [...] implica la sperimentazione di nuovi modi di lavorare e organizzare i servizi fornendo risposte a bisogni prima non considerati.”
Come non sentirsi coinvolti e adatti a tale approccio, come non pensare ad un altro modo di essere attori sociali, pro-attivi, propositivi, innovativi. In una parola SMART. Gli acronimi si sprecano e SMART è divenuta la parola senza la quale non si può fare nulla. È l'integrazione dei primi anni 2000 ed il glocal della fine dei '90.
Per essere smart non basta avere la tecnologia, bisogna che qualcosa o qualcuno sostenga l'utilizzo degli strumenti ICT, bisogna che affianco al tablet collegato in clouding ci sia una noiosissima e utilissima capacità di ripensare alle proprie aziende, al proprio sistema di governance, alla propria mission. Insomma ad un numero notevole (eccessivo) di termini inglesi.
Il mercato, dalla ventosa Riva del Garda, appare un grande fratello che tutto controlla e tutto governa, un sistema da scardinare a favore di un mondo migliore. Ma è veramente così? Non pecchiamo noi (co)operatori di Ybris nel voler andare contro gli dei? Il mercato non è un golem malvagio, non è un qualcosa altro da noi, ma è il modo con cui effettuiamo i nostri scambi, le nostre relazioni economiche. Se solo comprendessimo che un altro mercato è sempre possibile, perché gli attori di questo mercato siamo noi. La vera novità sarebbe accettarne le regole senza ipocrisie e cambiarle da soggetti autorizzati a farlo, ovvero da importanti, fondamentali soggetti economici.
Ho l'impressione che la vera innovazione passi proprio per quell'IVA di cui parlavo prima, da quella percentuale di Innovazione che mettiamo nel nostro agire economico, da quella capacità di indirizzare le scelte della società verso transazioni economiche (e relazionali, ammesso che ci sia differenza) che definiamo etiche o, come preferisco, responsabili.
Il concetto di responsabilità deve andar prima di quello di eticità, le scelte sono etiche se sono responsabili, se hanno la capacità di far corrispondere la risposta al bisogno e di farlo senza che questo crei un nuovo bisogno peggiore del primo.
L'innovazione passa dunque attraverso la responsabilità, e non è un caso che senza Corporate Social Responsability il sistema non regga, e la responsabilità passa attraverso il cambiamento, l'autodeterminazione e la consapevolezza. In tutto questo la tecnologia a cosa serve? Come twitta Graziano Maino #mainograz pensa le tecnologie non sono l'opposto del senso. Non c'è innovazione che non abbia componenti tecnologiche. Vuol dire comprendere la necessità di utilizzare gli strumenti tecnologici per attivare, sostenere, introdurre processi di innovazione sociale. Ma l'idea, la formula, l'alchimia che trasforma la cooperazione sociale in Impresa sociale innovativa, non è nel mezzo che utilizziamo ma nel fine che vogliamo raggiungere con la tecnologia.
Adesso bisogna solo trovare il senso.

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